Dalla mediazione al processo: effetti processuali dell’insuccesso della mediazione.
L’insuccesso del procedimento di mediazione civile genera una serie di effetti processuali di particolare complessità che incidono profondamente sulla successiva fase giudiziale, richiedendo un’analisi sistematica delle conseguenze che derivano dal mancato raggiungimento dell’accordo conciliativo. La transizione dalla mediazione al processo non rappresenta un semplice passaggio formale, ma comporta l’attivazione di meccanismi processuali specifici che influenzano la gestione dei termini, la distribuzione delle spese, l’applicazione di sanzioni e l’utilizzabilità delle informazioni acquisite durante il tentativo di conciliazione.
Il quadro normativo degli effetti processuali
La disciplina degli effetti processuali dell’insuccesso della mediazione trova il proprio fondamento nell’articolo 11 del decreto legislativo 28/2010, che stabilisce le modalità di conclusione del procedimento quando non si raggiunga l’accordo. La norma prevede che “quando l’accordo non è raggiunto, il mediatore ne dà atto nel verbale e può formulare una proposta di conciliazione da allegare al verbale”.
L’articolo 11, comma 4-bis, introdotto dalla riforma Cartabia, stabilisce un principio fondamentale per la gestione temporale del passaggio dalla mediazione al processo: “quando la mediazione si conclude senza la conciliazione, la domanda giudiziale deve essere proposta entro il medesimo termine di decadenza di cui all’articolo 8, comma 2, decorrente dal deposito del verbale conclusivo della mediazione presso la segreteria dell’organismo”.
Questa previsione coordina gli effetti temporali della mediazione con quelli del processo, garantendo che il decorso del tempo durante il procedimento di mediazione non comporti la decadenza dal diritto di agire in giudizio, purché l’azione sia riproposta entro il termine stabilito dalla legge.
La verifica dell’avveramento della condizione di procedibilità
Il primo e più significativo effetto processuale dell’insuccesso della mediazione riguarda la verifica dell’avveramento della condizione di procedibilità. L’articolo 5, comma 4, stabilisce che “quando l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale, la condizione si considera avverata se il primo incontro dinanzi al mediatore si conclude senza l’accordo di conciliazione”.
La giurisprudenza ha chiarito che la verifica dell’effettivo esperimento della mediazione deve privilegiare la sostanza rispetto alla forma. Come evidenziato dalla sentenza del Tribunale di Catania n. 236/2025, la disciplina della mediazione ope legis è finalizzata primariamente a garantire che le parti si presentino dinanzi al giudice solo dopo il fallimento del tentativo conciliativo.
Tuttavia, quando le parti non rispettano i termini stabiliti per la conclusione della mediazione, le conseguenze processuali sono severe. La giurisprudenza ha stabilito che “laddove le parti si presentino ancora dinanzi al giudice senza avere espletato e concluso la mediazione (anche con verbale negativo), la causa va dichiarata improcedibile”, come chiarito dalla sentenza del Tribunale di Catania n. 3050/2025.
Le conseguenze della dichiarazione di improcedibilità
La dichiarazione di improcedibilità per mancato esperimento della mediazione produce effetti processuali di particolare gravità, che si estendono oltre la mera interruzione del procedimento. La giurisprudenza ha chiarito che l’improcedibilità conseguente al mancato rispetto del termine per la conclusione della mediazione non preclude alle parti la possibilità di agire nuovamente in giudizio una volta che abbiano finalmente operato la mediazione senza successo.
Come osservato dalla Corte d’appello di Bologna con sentenza n. 159/2025, la mancata instaurazione del procedimento di mediazione nel termine perentorio concesso comporta necessariamente la declaratoria di improcedibilità delle domande dell’attore, senza possibilità di sanatoria.
La dichiarazione di improcedibilità assume carattere definitivo quando si verifichi nel giudizio di appello. La giurisprudenza ha chiarito che nel giudizio d’appello, che ha assunto le caratteristiche di impugnazione a critica vincolata, l’appellante assume sempre la veste di attore e su di lui ricade l’onere di porre in essere tutte le attività finalizzate a rendere esigibile dal giudice dell’impugnazione la valutazione di merito delle critiche mosse alla sentenza di primo grado.
Gli effetti sulla distribuzione delle spese processuali
L’insuccesso della mediazione produce effetti significativi sulla distribuzione delle spese processuali, che variano a seconda delle circostanze specifiche del caso e del comportamento tenuto dalle parti durante il procedimento. L’articolo 13 disciplina specificamente le conseguenze economiche del rifiuto della proposta di conciliazione.
La norma stabilisce che “quando il provvedimento che definisce il giudizio corrisponde interamente al contenuto della proposta, il giudice esclude la ripetizione delle spese sostenute dalla parte vincitrice che ha rifiutato la proposta, riferibili al periodo successivo alla formulazione della stessa, e la condanna al rimborso delle spese sostenute dalla parte soccombente relative allo stesso periodo”.
Questa previsione introduce un meccanismo di incentivazione economica alla conciliazione, penalizzando la parte che rifiuti una proposta poi sostanzialmente accolta dal giudice. L’articolo 13 prevede inoltre la condanna “al versamento all’entrata del bilancio dello Stato di un’ulteriore somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto”.
Quando la dichiarazione di improcedibilità derivi dal mancato esperimento della mediazione, la giurisprudenza ha adottato orientamenti diversificati sulla distribuzione delle spese. In alcuni casi si è optato per la compensazione delle spese tra le parti, considerando che l’improcedibilità deriva dall’inerzia di entrambe le parti nell’adempiere alla condizione di procedibilità.
Le sanzioni per la mancata partecipazione
L’articolo 12-bis disciplina le conseguenze processuali della mancata partecipazione al procedimento di mediazione, introducendo un sistema articolato di sanzioni che operano nel successivo giudizio. La norma stabilisce che “dalla mancata partecipazione senza giustificato motivo al primo incontro del procedimento di mediazione, il giudice può desumere argomenti di prova nel successivo giudizio ai sensi dell’articolo 116, secondo comma, del codice di procedura civile”.
Questa previsione attribuisce al giudice un potere discrezionale di valutazione della condotta delle parti durante la mediazione, consentendo di trarre conseguenze probatorie dalla mancata partecipazione. La giurisprudenza ha chiarito che tale valutazione deve essere condotta con particolare attenzione alle circostanze del caso concreto e alla presenza di giustificati motivi per l’assenza.
Il comma 2 dell’articolo 12-bis prevede una sanzione pecuniaria specifica: “quando la mediazione costituisce condizione di procedibilità, il giudice condanna la parte costituita che non ha partecipato al primo incontro senza giustificato motivo al versamento all’entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al doppio del contributo unificato dovuto per il giudizio”.
Il comma 3 introduce una sanzione aggiuntiva di carattere risarcitorio: “nei casi di cui al comma 2, con il provvedimento che definisce il giudizio, il giudice, se richiesto, può altresì condannare la parte soccombente che non ha partecipato al primo incontro di mediazione al pagamento in favore della controparte di una somma equitativamente determinata in misura non superiore nel massimo alle spese del giudizio maturate dopo la conclusione del procedimento di mediazione”.
L’inutilizzabilità delle dichiarazioni e informazioni
Un aspetto fondamentale degli effetti processuali dell’insuccesso della mediazione riguarda il regime di inutilizzabilità delle dichiarazioni rese e delle informazioni acquisite durante il procedimento. L’articolo 10 stabilisce il principio generale secondo cui “le dichiarazioni rese o le informazioni acquisite nel corso del procedimento di mediazione non possono essere utilizzate nel giudizio avente il medesimo oggetto anche parziale, iniziato, riassunto o proseguito dopo l’insuccesso della mediazione, salvo consenso della parte dichiarante o dalla quale provengono le informazioni”.
Questa previsione risponde all’esigenza di tutelare la riservatezza del procedimento di mediazione e di incoraggiare le parti a esprimersi liberamente durante il tentativo di conciliazione, senza il timore che le proprie dichiarazioni possano essere utilizzate contro di esse nel successivo giudizio.
La norma prosegue specificando che “sul contenuto delle stesse dichiarazioni e informazioni non è ammessa prova testimoniale e non può essere deferito giuramento decisorio”. Questa limitazione si estende anche ai mezzi di prova, impedendo che attraverso strumenti probatori indiretti si possa aggirare il divieto di utilizzazione.
Il comma 2 dell’articolo 10 estende la tutela della riservatezza al mediatore, stabilendo che questi “non può essere tenuto a deporre sul contenuto delle dichiarazioni rese e delle informazioni acquisite nel procedimento di mediazione, né davanti all’autorità giudiziaria né davanti ad altra autorità”.
La distinzione tra elementi utilizzabili e non utilizzabili
La giurisprudenza ha progressivamente chiarito i confini del divieto di utilizzazione, distinguendo tra gli elementi sostanziali del procedimento di mediazione, soggetti al regime di riservatezza, e gli elementi formali e procedurali, che possono essere utilizzati nel successivo giudizio.
Il principio di riservatezza attiene al contenuto sostanziale degli incontri di mediazione e si estende ai “punti di accordo” frutto del tentativo di composizione amichevole della lite, equiparabili alle dichiarazioni rese e alle informazioni acquisite durante il procedimento. Tuttavia, il divieto di utilizzazione non si estende alle circostanze che riguardano la ritualità e partecipazione delle parti alla procedura.
Il verbale di mancato accordo può quindi essere utilizzato per dimostrare l’avveramento della condizione di procedibilità, la regolare convocazione delle parti, la loro partecipazione o mancata partecipazione al procedimento, e tutti gli elementi necessari per la verifica del corretto espletamento della mediazione.
Gli effetti sui termini processuali
L’insuccesso della mediazione produce effetti significativi sui termini processuali, che devono essere coordinati con la disciplina generale del processo civile. L’articolo 7 stabilisce che “il periodo di cui all’articolo 6 e il periodo del rinvio disposto dal giudice ai sensi dell’articolo 5, comma 2 e dell’articolo 5-quater, comma 1, non si computano ai fini di cui all’articolo 2 della legge 24 marzo 2001, n. 89”.
Questa previsione esclude il computo dei periodi di mediazione ai fini della ragionevole durata del processo, riconoscendo che il tempo impiegato nel tentativo di conciliazione non deve essere considerato come ritardo nell’amministrazione della giustizia.
L’articolo 11, comma 4-bis, coordina i termini per la riproposizione dell’azione con gli effetti della mediazione sulla prescrizione e decadenza. La norma stabilisce che quando la mediazione si conclude senza la conciliazione, la domanda giudiziale deve essere proposta entro il medesimo termine di decadenza previsto dall’articolo 8, comma 2, decorrente dal deposito del verbale conclusivo.
La mediazione demandata dal giudice e i suoi effetti
L’articolo 5-quater disciplina la mediazione demandata dal giudice, introducendo specifici effetti processuali in caso di insuccesso. La norma stabilisce che “la mediazione demandata dal giudice è condizione di procedibilità della domanda giudiziale” e che “all’udienza di cui al comma 1, quando la mediazione non risulta esperita, il giudice dichiara l’improcedibilità della domanda giudiziale”.
La giurisprudenza ha chiarito che la mediazione demandata dal giudice acquista natura obbligatoria e diviene condizione di procedibilità della domanda giudiziale al pari di quella obbligatoria ex lege. Come evidenziato dalla sentenza del Tribunale di Lecce n. 3091/2024, il giudice può disporre con ordinanza motivata l’esperimento di un procedimento di mediazione, valutata la natura della causa, lo stato dell’istruzione, il comportamento delle parti e ogni altra circostanza rilevante.
Nel caso di mancato previo esperimento della procedura di mediazione ordinata dal giudice, le conseguenze negative devono ricadere sulla parte che avrebbe avuto interesse a coltivare l’azione, poiché pur essendo l’invito del giudice rivolto a tutte le parti del giudizio, la figura processuale interessata ad attivarsi è quella che avrebbe dovuto, in limine litis, provvedervi.
Gli effetti nelle diverse tipologie di procedimento
Gli effetti processuali dell’insuccesso della mediazione assumono caratteristiche specifiche a seconda della tipologia di procedimento in cui si inseriscono. Nell’opposizione a decreto ingiuntivo, l’articolo 5-bis stabilisce che “quando l’azione di cui all’articolo 5, comma 1, è stata introdotta con ricorso per decreto ingiuntivo, nel procedimento di opposizione l’onere di presentare la domanda di mediazione grava sulla parte che ha proposto ricorso per decreto ingiuntivo”.
La norma prevede che se la mediazione non è stata esperita, il giudice “dichiara l’improcedibilità della domanda giudiziale proposta con il ricorso per decreto ingiuntivo, revoca il decreto opposto e provvede sulle spese”. Questa previsione introduce un effetto processuale specifico rappresentato dalla revoca del decreto ingiuntivo, che si aggiunge alla dichiarazione di improcedibilità.
Nel giudizio di appello, gli effetti dell’insuccesso della mediazione assumono particolare gravità. La giurisprudenza ha chiarito che l’appellante assume sempre la veste di attore rispetto al giudizio d’appello e su di lui ricade l’onere di dimostrare la fondatezza dei propri motivi di gravame, quale che sia stata la posizione processuale assunta nel giudizio di primo grado.
Come evidenziato dalla Corte d’appello di Napoli con sentenza n. 4329/2024, “l’esperimento della mediazione in appello ha natura di atto di impulso processuale a carico dell’appellante, il quale ne è onerato a pena di improcedibilità. Improcedibilità alla quale consegue in tale prospettiva la stabilizzazione (sia pur in via indiretta ex art.338 c.p.c.) della sentenza di primo grado”.
La responsabilità processuale aggravata
L’insuccesso della mediazione può comportare l’applicazione della responsabilità processuale aggravata prevista dall’articolo 96 del codice di procedura civile quando il comportamento della parte durante il procedimento di mediazione o nella successiva fase processuale integri gli estremi della mala fede o colpa grave.
La giurisprudenza ha chiarito che configura comportamento processuale rimproverabile la condotta della parte che, dopo aver omesso di esperire la mediazione nel termine assegnatole, produca tardivamente il verbale di mediazione oltre il termine stabilito e contesti falsamente la partecipazione della controparte alla procedura. Come evidenziato dalla sentenza del Tribunale di Roma n. 15222/2024, tale comportamento giustifica la condanna per responsabilità aggravata oltre alla normale condanna alle spese processuali.
Gli effetti sulla prova e sull’onere probatorio
L’insuccesso della mediazione produce effetti significativi sul regime probatorio del successivo giudizio. L’articolo 12-bis, comma 1, stabilisce che dalla mancata partecipazione senza giustificato motivo al primo incontro del procedimento di mediazione, il giudice può desumere argomenti di prova nel successivo giudizio ai sensi dell’articolo 116, secondo comma, del codice di procedura civile.
Questa previsione introduce un meccanismo di valutazione della condotta delle parti che può influenzare l’esito del giudizio. La giurisprudenza ha chiarito che tale valutazione deve essere condotta con particolare attenzione alle circostanze del caso concreto, verificando la presenza di giustificati motivi per l’assenza e la rilevanza della mancata partecipazione rispetto alle questioni controverse.
L’onere probatorio relativo all’avveramento della condizione di procedibilità ricade sulla parte che ha proposto l’azione giudiziale, la quale deve fornire prova della propria partecipazione effettiva al procedimento di mediazione. Come chiarito dalla Corte d’appello di Firenze con sentenza n. 39/2025, l’onere di dimostrare l’espletamento della condizione di procedibilità ricade sulla parte che ha proposto l’azione giudiziale.
La gestione delle domande riconvenzionali
Gli effetti processuali dell’insuccesso della mediazione assumono particolare complessità quando siano presenti domande riconvenzionali. La giurisprudenza ha chiarito che per le riconvenzionali sia eccentriche che non eccentriche non è necessario l’esperimento di un autonomo tentativo obbligatorio di mediazione, purché lo stesso risulti già utilmente esperito dall’attore.
Tuttavia, come evidenziato dalla sentenza del Tribunale di Torre Annunziata n. 2028/2024, qualora il tentativo obbligatorio di mediazione non risulti esperito da nessuna delle parti neanche nel termine concesso dal giudice, deve ritenersi insoddisfatto il requisito della condizione di procedibilità anche con riferimento alla domanda riconvenzionale, comportando l’improcedibilità di entrambe le domande.
Considerazioni conclusive e orientamenti operativi
L’analisi degli effetti processuali dell’insuccesso della mediazione evidenzia la complessità di un sistema normativo che deve bilanciare diverse esigenze: la finalità deflattiva dell’istituto, la garanzia del diritto di difesa, l’efficienza del sistema giudiziario e la certezza dei rapporti processuali. La giurisprudenza ha progressivamente chiarito i principi interpretativi fondamentali, sottolineando l’importanza di una gestione attenta della transizione dalla mediazione al processo.
Come evidenziato dalla sentenza del Tribunale di Catania n. 1271/2025, “ciò che invece assume rilevanza è che le parti concludano la mediazione (eventualmente anche con un verbale negativo) entro il termine di tre mesi (salvo adesso la proroga innovativamente introdotta dalla cd. riforma Cartabia a partire dal 17 ottobre 2022)”.
La corretta gestione degli effetti processuali dell’insuccesso della mediazione richiede particolare attenzione da parte dei professionisti, che devono considerare non solo gli aspetti formali del procedimento, ma anche le conseguenze sostanziali che derivano dal mancato raggiungimento dell’accordo. La dichiarazione di improcedibilità per mancato esperimento della mediazione rappresenta una sanzione processuale grave, che può essere evitata solo attraverso il rigoroso rispetto delle condizioni di procedibilità stabilite dalla legge.
L’evoluzione normativa introdotta dalla riforma Cartabia ha chiarito alcuni aspetti problematici della disciplina precedente, introducendo specifiche previsioni per la coordinazione dei termini e per la gestione della mediazione telematica. Tuttavia, rimane fondamentale per i professionisti una conoscenza approfondita della disciplina e delle sue implicazioni pratiche, al fine di garantire l’efficace tutela dei diritti dei propri assistiti nel passaggio dalla mediazione al processo.
La giurisprudenza continua a fornire chiarimenti interpretativi su aspetti specifici della disciplina, contribuendo alla formazione di un orientamento consolidato che privilegia la sostanza dell’esperimento della mediazione rispetto alla rigida osservanza dei formalismi, pur nel rispetto dei requisiti essenziali stabiliti dalla legge per garantire l’effettività della condizione di procedibilità e la ragionevole durata del processo.

