La domanda di mediazione: requisiti formali e vizi sanabili.
La domanda di mediazione rappresenta l’atto introduttivo del procedimento di risoluzione alternativa delle controversie disciplinato dal decreto legislativo 28/2010, la cui corretta formulazione assume rilevanza cruciale per l’avveramento della condizione di procedibilità dell’azione giudiziale. L’analisi dei requisiti formali dell’istanza e dei vizi che possono inficiarne la validità richiede un esame sistematico della disciplina normativa e degli orientamenti giurisprudenziali consolidati, con particolare attenzione alle evoluzioni interpretative più recenti che hanno chiarito i confini tra formalismo e sostanza nell’applicazione dell’istituto.
Il quadro normativo di riferimento
L’articolo 4 del decreto legislativo 28/2010 disciplina l’accesso alla mediazione, stabilendo i principi fondamentali per la presentazione della domanda. Il comma 1 prevede che “la domanda di mediazione relativa alle controversie di cui all’articolo 2 è depositata da una delle parti presso un organismo nel luogo del giudice territorialmente competente per la controversia”, introducendo così il primo requisito formale relativo alla competenza territoriale dell’organismo adito.
Il comma 2 dell’articolo 4 stabilisce il contenuto minimo essenziale della domanda, prevedendo che “la domanda di mediazione deve indicare l’organismo, le parti, l’oggetto e le ragioni della pretesa”. Questa previsione normativa, apparentemente semplice nella sua formulazione, ha generato significativi dibattiti interpretativi sulla specificità richiesta per ciascun elemento e sulle conseguenze derivanti dalla loro omessa o insufficiente indicazione.
La disciplina si coordina con l’articolo 3, comma 3, che stabilisce il principio generale secondo cui “gli atti del procedimento di mediazione non sono soggetti a formalità”, introducendo così un elemento di flessibilità che deve essere bilanciato con l’esigenza di garantire l’identificazione precisa della controversia e delle parti coinvolte.
I contenuti obbligatori della domanda di mediazione
L’analisi giurisprudenziale ha progressivamente chiarito il contenuto minimo che deve caratterizzare la domanda di mediazione per essere considerata valida ed efficace. La sentenza del Tribunale di Patti n. 707/2024 ha evidenziato che “l’art. 4 comma 1 e comma 2 del D.Lgs.vo n. 28 del 4-3-2010 (nella formulazione all’epoca vigente) prescrive(va) che ‘La domanda di mediazione relativa alle controversie di cui all’articolo 2 è presentata mediante deposito di un’istanza presso un organismo nel luogo del giudice territorialmente competente per la controversia. In caso di più domande relative alla stessa controversia, la mediazione si svolge davanti all’organismo territorialmente competente presso il quale è stata presentata la prima domanda. Per determinare il tempo della domanda si ha riguardo alla data del deposito dell’istanza. 2. L’istanza deve indicare l’organismo, le parti, l’oggetto e le ragioni della pretesa’”.
L’indicazione dell’organismo
Il primo elemento obbligatorio riguarda l’indicazione dell’organismo presso cui viene depositata la domanda. Questo requisito assume particolare rilevanza in relazione alla competenza territoriale, che deve corrispondere al luogo del giudice territorialmente competente per la controversia. La giurisprudenza ha chiarito che la violazione della competenza territoriale dell’organismo di mediazione comporta l’inefficacia del procedimento esperito e determina l’improcedibilità della domanda giudiziale.
Come evidenziato dalla sentenza del Tribunale di Napoli Nord n. 2446/2025, la violazione della competenza territoriale dell’organismo di mediazione comporta l’inefficacia del procedimento esperito e determina l’improcedibilità della domanda giudiziale quando tale vizio viene eccepito dal convenuto nella prima difesa utile o rilevato d’ufficio dal giudice non oltre la prima udienza.
La riforma Cartabia ha introdotto la possibilità di deroga alla competenza territoriale su accordo delle parti, ma tale deroga deve risultare da un accordo espresso e non può essere desunta dalla mera mancata comparizione del soggetto invitato alla mediazione.
L’identificazione delle parti
Il secondo elemento obbligatorio concerne l’identificazione delle parti della controversia. La giurisprudenza ha chiarito che l’indicazione delle parti deve essere sufficientemente precisa da consentire la loro identificazione univoca, seguendo criteri analoghi a quelli previsti per gli atti processuali.
L’identificazione deve comprendere non solo i dati anagrafici delle persone fisiche o la denominazione degli enti, ma anche gli elementi necessari per la regolare convocazione. La sentenza del Tribunale di Catanzaro n. 924/2023 ha chiarito che “la comunicazione dell’istanza di mediazione deve pertanto essere portata a conoscenza della controparte personalmente, a cura dell’istante o dell’organismo di mediazione, con modalità idonee ad assicurarne la ricezione”.
La specificazione dell’oggetto della controversia
Il terzo elemento obbligatorio riguarda l’indicazione dell’oggetto della controversia, che deve essere sufficientemente specifica da consentire l’identificazione della materia del contendere. La giurisprudenza ha progressivamente chiarito che non è sufficiente un’indicazione generica, ma è necessaria una descrizione che consenta alla controparte di comprendere la natura e l’estensione della pretesa.
La sentenza del Tribunale di Palermo n. 3032/2023 ha stabilito che “la domanda di mediazione deve contenere, a pena di nullità, elementi minimi essenziali analoghi a quelli previsti dall’art. 125 c.p.c., ovvero: la corretta individuazione delle parti, la specificazione dell’oggetto della controversia e l’indicazione delle ragioni della pretesa, seppur non necessariamente in forma estesa e completa”.
La sentenza ha inoltre chiarito che “la mera indicazione generica di presunti vizi della delibera, senza specificazione delle norme violate o dei fatti contestati, rende nulla la domanda di mediazione e non idonea ad interrompere il termine di decadenza di 30 giorni previsto dall’art. 1137 c.c. per l’impugnazione”.
L’esposizione delle ragioni della pretesa
Il quarto elemento obbligatorio concerne l’indicazione delle ragioni della pretesa, che deve fornire una descrizione, seppur sintetica, dei fatti e delle ragioni giuridiche su cui si fonda la richiesta. La giurisprudenza ha chiarito che non è necessaria un’esposizione dettagliata come quella richiesta per l’atto di citazione, ma è comunque indispensabile un’indicazione che consenta di comprendere i fondamenti della pretesa.
La sentenza del Tribunale di Tempio Pausania n. 310/2025 ha evidenziato che “una domanda di mediazione che si limiti ad indicazioni generiche circa la causa petendi, senza specificare il petitum e il provvedimento che l’attore intende ottenere dal tribunale adito, non può considerarsi validamente espletata e comporta l’improcedibilità della successiva domanda giudiziale”.
Il principio di simmetria tra mediazione e giudizio
Un aspetto fondamentale emerso dalla giurisprudenza riguarda il principio di simmetria tra il contenuto della domanda di mediazione e quello della successiva domanda giudiziale. La sentenza del Tribunale di Palermo n. 3032/2023 ha chiarito che “deve inoltre sussistere una simmetria tra i fatti narrati nell’istanza di mediazione e quelli successivamente esposti in sede giudiziale, pena l’improcedibilità della domanda”.
Questo principio risponde all’esigenza di garantire che la mediazione abbia effettivamente ad oggetto la stessa controversia che viene successivamente sottoposta al giudice, evitando che il procedimento di mediazione si riduca a un mero adempimento formale privo di sostanza conciliativa.
La giurisprudenza ha precisato che la simmetria deve sussistere relativamente a personae, petitum e causa petendi, pur non richiedendo una corrispondenza letterale tra i due atti. È sufficiente che la controversia sottoposta a mediazione sia sostanzialmente la stessa che viene successivamente proposta in giudizio, con la possibilità di specificazioni e approfondimenti che non alterino la natura della pretesa.
I vizi della domanda di mediazione
L’analisi dei vizi che possono inficiare la validità della domanda di mediazione richiede la distinzione tra vizi sanabili e vizi insanabili, con particolare attenzione alle conseguenze processuali che ne derivano.
Vizi relativi alla competenza territoriale
I vizi relativi alla competenza territoriale dell’organismo costituiscono una delle cause più frequenti di invalidità della domanda di mediazione. La sentenza del Tribunale di Parma n. 369/2025 ha chiarito che “la domanda di mediazione presentata unilateralmente presso un organismo territorialmente incompetente non produce alcun effetto utile e comporta la declaratoria di improcedibilità della causa per mancata attivazione del prescritto procedimento”.
La sentenza ha inoltre precisato che “la successiva proposizione di domanda di mediazione innanzi ad un organismo territorialmente competente, effettuata dopo il rilievo giudiziale dell’incompetenza del primo organismo adito, non sana il vizio originario e non evita la declaratoria di improcedibilità”.
Questo orientamento sottolinea il carattere insanabile del vizio di competenza territoriale, che non può essere rimediato attraverso una seconda domanda di mediazione presentata presso l’organismo competente.
Vizi relativi al contenuto della domanda
I vizi relativi al contenuto della domanda possono riguardare l’omessa o insufficiente indicazione degli elementi obbligatori previsti dall’articolo 4, comma 2. La giurisprudenza ha distinto tra vizi che comportano la nullità della domanda e vizi che ne determinano l’inesistenza.
La sentenza del Tribunale di Palermo n. 3032/2023 ha chiarito che “l’assenza degli elementi essenziali determina non un mero vizio di nullità ma l’inesistenza della domanda di mediazione, con conseguente improponibilità dell’azione per decadenza qualora sia decorso il termine di 30 giorni dall’adozione della delibera impugnata”.
La distinzione assume particolare rilevanza per le conseguenze processuali che ne derivano. Mentre i vizi di nullità potrebbero teoricamente essere sanati, l’inesistenza della domanda comporta l’impossibilità di considerare esperito il tentativo di mediazione.
Vizi relativi alla comunicazione
Un’altra categoria di vizi riguarda le modalità di comunicazione della domanda alle parti. La sentenza del Tribunale di Catanzaro n. 924/2023 ha stabilito che “la comunicazione dell’avvio del procedimento di mediazione effettuata esclusivamente mediante PEC all’indirizzo del procuratore costituito in giudizio, anziché alla parte personalmente, determina l’invalidità della procedura e la conseguente improcedibilità della domanda giudiziale”.
La sentenza ha precisato che “tale vizio non è sanabile neppure in presenza di una procura alle liti che contenga l’elezione di domicilio presso il difensore, qualora questa sia limitata alla sola fase giudiziale senza contemplare espressamente anche la fase stragiudiziale della mediazione”.
La sanatoria dei vizi
La questione della sanatoria dei vizi della domanda di mediazione presenta profili di particolare complessità, considerando la natura extraprocessuale del procedimento e la sua funzione di condizione di procedibilità per l’azione giudiziale.
Principi generali sulla sanatoria
La giurisprudenza ha chiarito che non tutti i vizi della domanda di mediazione sono suscettibili di sanatoria. La distinzione fondamentale è quella tra vizi che attengono alla validità formale dell’atto e vizi che ne compromettono l’esistenza giuridica.
I vizi di nullità, quando non comportino l’inesistenza dell’atto, potrebbero teoricamente essere sanati attraverso comportamenti concludenti delle parti o mediante rinnovazione dell’atto viziato. Tuttavia, la giurisprudenza ha adottato un approccio restrittivo, considerando che la natura della mediazione come condizione di procedibilità richiede il rispetto rigoroso dei requisiti formali.
Limiti alla sanatoria
La sentenza del Tribunale di Palermo n. 3032/2023 ha chiarito che “la procura alle liti conferita successivamente alla presentazione della domanda di mediazione non può sanare la nullità della stessa, né può considerarsi equivalente ad una domanda di mediazione un atto di intervento ad adiuvandum presentato oltre il termine di decadenza”.
Questo orientamento sottolinea che la sanatoria non può operare attraverso atti successivi che non abbiano la natura e la funzione della domanda di mediazione, escludendo la possibilità di equiparare atti processuali diversi alla domanda di mediazione propriamente detta.
La costituzione del convenuto
Un aspetto particolare riguarda gli effetti della costituzione del convenuto sui vizi della domanda di mediazione. Diversamente da quanto previsto per l’atto di citazione dall’articolo 164 del codice di procedura civile, la costituzione del convenuto nel procedimento di mediazione non produce automaticamente effetti sanativi sui vizi della domanda.
La ragione di questa differenza risiede nella natura extraprocessuale della mediazione e nella sua funzione di condizione di procedibilità, che richiede il rispetto sostanziale dei requisiti formali per garantire l’effettività del tentativo conciliativo.
La specificità della domanda nella giurisprudenza recente
La giurisprudenza più recente ha sviluppato orientamenti sempre più rigorosi sulla specificità richiesta per la domanda di mediazione, superando interpretazioni eccessivamente formaliste ma mantenendo l’esigenza di garantire l’identificazione precisa della controversia.
Il contenuto minimo essenziale
La sentenza del Tribunale di Tempio Pausania n. 310/2025 ha chiarito che “l’istanza di mediazione deve necessariamente contenere, ai sensi dell’art. 44 del decreto legislativo citato, l’indicazione dell’organismo, delle parti, dell’oggetto e delle ragioni della pretesa, elementi che corrispondono sostanzialmente a quelli previsti dall’art. 125 c.p.c. per il contenuto degli atti processuali, fatta eccezione per i soli elementi di diritto”.
La sentenza ha inoltre precisato che “la validità ed efficacia dell’istanza di mediazione impone una necessaria simmetria tra i fatti narrati in sede di mediazione e quelli esposti in sede processuale, almeno per quanto concerne gli elementi principali della controversia, dovendo sussistere corrispondenza tra l’istanza di mediazione e la domanda giudiziale concretamente formulata”.
L’indicazione del petitum
Un aspetto di particolare rilevanza emerso dalla giurisprudenza recente riguarda la necessità di indicare il petitum nella domanda di mediazione. La sentenza del Tribunale di Tempio Pausania n. 310/2025 ha evidenziato che “una domanda di mediazione che si limiti ad indicazioni generiche circa la causa petendi, senza specificare il petitum e il provvedimento che l’attore intende ottenere dal tribunale adito, non può considerarsi validamente espletata e comporta l’improcedibilità della successiva domanda giudiziale”.
La sentenza ha spiegato che “l’assenza del petitum nell’istanza di mediazione impedisce alla parte chiamata non solo di riconoscere la materia del futuro contendere, ma anche di partecipare con cognizione di causa al procedimento di mediazione ed esercitare le conseguenti difese, vanificando la funzione deflattiva dell’istituto e riducendolo ad un mero adempimento formale contrario alla ratio legis”.
La partecipazione delle parti e i vizi della rappresentanza
Un aspetto di particolare complessità riguarda i vizi relativi alla partecipazione delle parti al procedimento di mediazione, che possono inficiare la validità dell’intero procedimento anche quando la domanda sia formalmente corretta.
La partecipazione personale
La giurisprudenza ha chiarito che la mediazione richiede la partecipazione personale delle parti, assistite dai rispettivi difensori. La sentenza del Tribunale di Nocera Inferiore n. 2146/2025 ha evidenziato che “la partecipazione alla procedura di mediazione deve avvenire personalmente o a mezzo di difensore munito di procura speciale sostanziale, poiché la mera procura alle liti rilasciata al difensore non è sufficiente affinché questi partecipi validamente alla mediazione obbligatoria”.
I requisiti della procura sostanziale
Quando la parte non possa partecipare personalmente, la giurisprudenza ha stabilito requisiti rigorosi per la procura sostanziale. La sentenza del Tribunale di Lagonegro n. 381/2025 ha chiarito che “la parte può validamente farsi sostituire da un terzo, incluso il proprio difensore, purché conferisca a quest’ultimo una procura speciale sostanziale avente lo specifico oggetto della partecipazione alla mediazione e il conferimento del potere di disporre dei diritti sostanziali che ne costituiscono oggetto”.
Considerazioni conclusive e orientamenti operativi
L’analisi della disciplina della domanda di mediazione evidenzia la complessità di un istituto che deve bilanciare l’esigenza di flessibilità procedurale con la necessità di garantire l’identificazione precisa della controversia e delle parti coinvolte. La giurisprudenza ha progressivamente chiarito i requisiti formali essenziali, adottando un approccio che privilegia la sostanza rispetto al formalismo eccessivo, pur mantenendo standard rigorosi per garantire l’effettività del tentativo conciliativo.
La sentenza del Tribunale di Patti n. 707/2024 ha sintetizzato efficacemente i principi applicabili, osservando che “tali disposizioni, in uno con quella di cui all’art. 3 comma 3 (‘gli atti del procedimento di mediazione non sono soggetti a formalità’), nel rispetto delle caratteristiche e delle finalità proprie dell’istituto, non prescrivono una forma specifica della domanda, stabilendo, tuttavia, che il procedimento si consideri instaurato al momento della presentazione della domanda; il che implica che la stessa debba essere depositata in forma scritta, e richiedendo, inoltre, un contenuto minimo essenziale della domanda: l’indicazione dell’organismo, delle parti, dell’oggetto e delle ragioni della pretesa; contenuto minimo che appare essere stato osservato nel caso di specie”.
La corretta redazione della domanda di mediazione richiede quindi particolare attenzione da parte dei professionisti, che devono garantire il rispetto dei requisiti formali essenziali senza cadere in eccessi di formalismo che potrebbero compromettere l’efficacia dell’istituto. La specificità richiesta deve essere commisurata alla finalità conciliativa del procedimento, garantendo alle parti la possibilità di comprendere la natura della controversia e di partecipare consapevolmente al tentativo di composizione amichevole.
L’evoluzione giurisprudenziale continua a fornire chiarimenti interpretativi su aspetti specifici della disciplina, contribuendo alla formazione di un orientamento consolidato che valorizza l’effettività del procedimento di mediazione rispetto al mero adempimento formale. I professionisti devono quindi mantenersi costantemente aggiornati sugli sviluppi normativi e giurisprudenziali per garantire una gestione efficace della domanda di mediazione e l’avveramento della condizione di procedibilità per l’azione giudiziale.
La tendenza emergente dalla giurisprudenza più recente è quella di richiedere un contenuto sostanzialmente equivalente, benchè ispirato alla sinteticità, a quello dell’atto introduttivo del giudizio, pur con le necessarie semplificazioni derivanti dalla natura extraprocessuale del procedimento. Questa impostazione garantisce l’effettività del tentativo conciliativo e la possibilità per le parti di valutare consapevolmente le opportunità di composizione amichevole della controversia, realizzando così la finalità deflattiva perseguita dal legislatore attraverso l’introduzione della mediazione obbligatoria.

