La gestione dei termini nella mediazione: decorrenze, sospensioni e decadenze.
La disciplina temporale del procedimento di mediazione civile rappresenta uno degli aspetti più delicati e tecnicamente complessi dell’intero istituto, richiedendo una comprensione approfondita delle diverse tipologie di termini che scandiscono il procedimento e delle loro reciproche interazioni con il processo civile. L’analisi della gestione dei termini nella mediazione assume particolare rilevanza pratica considerando che il mancato rispetto delle scadenze temporali può comportare conseguenze processuali di estrema gravità, fino alla dichiarazione di improcedibilità della domanda giudiziale.
Il quadro normativo di riferimento
La disciplina dei termini nella mediazione civile trova il proprio fondamento normativo nel decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, che ha subito significative modificazioni nel corso degli anni, culminate con le innovazioni introdotte dalla riforma Cartabia attraverso il decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 149. La comprensione della disciplina temporale richiede necessariamente la distinzione tra i diversi momenti procedimentali e i relativi termini applicabili.
L’articolo 5 del decreto legislativo 28/2010 stabilisce il principio fondamentale secondo cui nelle materie soggette a mediazione obbligatoria, l’esperimento del procedimento costituisce condizione di procedibilità della domanda giudiziale. La norma prevede che “l’improcedibilità è eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d’ufficio dal giudice non oltre la prima udienza”, introducendo così un primo elemento temporale di carattere processuale che condiziona l’intero sviluppo del giudizio.
I termini per l’avvio del procedimento di mediazione
Quando il giudice rileva l’omesso esperimento della mediazione obbligatoria, la disciplina normativa prevede un meccanismo articolato di gestione temporale che si sviluppa attraverso diverse fasi. L’articolo 5, comma 2, stabilisce che “il giudice, quando rileva che la mediazione non è stata esperita o è già iniziata, ma non si è conclusa, fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all’articolo 6”.
Il legislatore ha previsto che il giudice assegni “contestualmente alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione”, introducendo così un primo termine procedurale la cui natura giuridica ha suscitato significativi dibattiti dottrinali e giurisprudenziali. La questione della natura perentoria o ordinatoria di questo termine assume rilevanza cruciale per le conseguenze che ne derivano in caso di mancato rispetto.
La giurisprudenza di legittimità ha chiarito che il mancato rispetto del termine di quindici giorni per l’avvio della mediazione non comporta conseguenze negative immediate. Come evidenziato dalla sentenza del Tribunale di Catania n. 236/2025, “il mancato rispetto del termine di quindici giorni per l’inizio della mediazione non comporta conseguenze negative immediate: ciò che invece assume rilevanza è che le parti concludano la mediazione (eventualmente anche con un verbale negativo) entro il termine di tre mesi”.
Tuttavia, la questione non è priva di complessità interpretative. Parte della giurisprudenza di merito ha sostenuto la natura perentoria del termine, argomentando che “la implicita natura perentoria di tale termine si evince dalla stessa gravità della sanzione prevista (l’improcedibilità della domanda giudiziale), che comporta la necessità di emettere una sentenza in rito così impedendo al processo di pervenire al suo esito fisiologico”, come osservato dalla sentenza del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere n. 1727/2025.
La durata del procedimento di mediazione
L’articolo 6 del decreto legislativo 28/2010 disciplina la durata del procedimento di mediazione, stabilendo che “il procedimento di mediazione ha una durata di sei mesi, prorogabile dopo la sua instaurazione e prima della sua scadenza, fermo restando quanto previsto dal comma 2, per periodi di volta in volta non superiori a tre mesi”.
La riforma introdotta dal decreto legislativo 149/2022 ha modificato significativamente questa disciplina, prevedendo che “quando il giudice procede ai sensi dell’articolo 5, comma 2, o dell’articolo 5-quater, comma 1, il procedimento di mediazione ha una durata di sei mesi, prorogabile dopo la sua instaurazione e prima della sua scadenza, per una sola volta, di ulteriori tre mesi”.
Il termine di durata del procedimento assume carattere fondamentale per la determinazione della condizione di procedibilità. Come chiarito dalla giurisprudenza, “il termine di cui al comma 1 decorre dalla data di deposito della domanda di mediazione e, nel caso di cui al comma 2, decorre dalla data di deposito dell’ordinanza con la quale il giudice adotta i provvedimenti previsti dall’articolo 5, comma 2”.
La norma stabilisce espressamente che “il termine di durata del procedimento di mediazione non è soggetto a sospensione feriale”, introducendo così una deroga al regime generale delle sospensioni processuali che caratterizza il processo civile. Questa previsione risponde all’esigenza di garantire la celerità del procedimento di mediazione e di evitare che la parentesi extraprocessuale si protragga oltre i limiti temporali stabiliti dal legislatore.
Gli effetti sulla prescrizione e decadenza
Uno degli aspetti più rilevanti della disciplina temporale della mediazione riguarda gli effetti che il procedimento produce sui termini di prescrizione e decadenza. L’articolo 8, comma 2, stabilisce che “dal momento in cui la comunicazione di cui al comma 1 perviene a conoscenza delle parti, la domanda di mediazione produce sulla prescrizione gli effetti della domanda giudiziale e impedisce la decadenza per una sola volta”.
Questa previsione normativa si coordina con la disciplina generale della prescrizione contenuta negli articoli 2943 e 2945 del codice civile, che disciplinano rispettivamente l’interruzione della prescrizione e i suoi effetti. La domanda di mediazione produce quindi gli stessi effetti interruttivi della prescrizione che si verificano con la notificazione dell’atto introduttivo del giudizio.
L’effetto impeditivo della decadenza opera “per una sola volta”, introducendo così una limitazione temporale che impedisce l’utilizzo strumentale del procedimento di mediazione per procrastinare indefinitamente l’esercizio dell’azione giudiziale. Questa previsione risponde all’esigenza di bilanciare la finalità deflattiva dell’istituto con la necessità di garantire certezza nei rapporti giuridici.
La proroga del procedimento
La disciplina della proroga del procedimento di mediazione ha subito significative modificazioni con la riforma Cartabia. L’articolo 6, comma 4, prevede che “la proroga ai sensi dei commi 1 e 2 risulta da accordo scritto delle parti allegato al verbale di mediazione o risultante da esso”.
Quando il procedimento di mediazione è stato disposto dal giudice, la norma stabilisce che “nei casi di cui al comma 2, le parti comunicano al giudice la proroga del termine mediante produzione in giudizio dell’accordo scritto o del verbale da cui esso risulta”. Questa previsione introduce un obbligo di comunicazione che assume rilevanza processuale, poiché la mancata comunicazione può comportare conseguenze negative per le parti.
La giurisprudenza ha chiarito che l’omessa tempestiva comunicazione della proroga del termine di mediazione al giudice comporta l’infondatezza dell’eventuale istanza di rimessione in termini, come evidenziato dalla sentenza del Tribunale di Catania n. 3311/2025, che ha sottolineato come “l’omessa tempestiva comunicazione della proroga del termine di mediazione al giudice comporta l’infondatezza dell’eventuale istanza di rimessione in termini formulata dalla parte interessata”.
I termini per la costituzione in mediazione
L’articolo 8, comma 1, disciplina i termini per la costituzione in mediazione, stabilendo che “all’atto della presentazione della domanda di mediazione, il responsabile dell’organismo designa un mediatore e fissa il primo incontro tra le parti, che deve tenersi non prima di venti e non oltre quaranta giorni dal deposito della domanda, salvo diversa concorde indicazione delle parti”.
Questa previsione introduce un termine minimo e massimo per la fissazione del primo incontro, garantendo alle parti un tempo adeguato per la preparazione del procedimento senza consentire dilazioni eccessive che potrebbero compromettere l’efficacia dell’istituto. Il termine di venti giorni rappresenta il limite minimo necessario per consentire alle parti di organizzarsi adeguatamente, mentre il termine di quaranta giorni costituisce il limite massimo oltre il quale non è possibile procrastinare l’inizio effettivo del procedimento.
La possibilità di derogare a questi termini mediante “diversa concorde indicazione delle parti” introduce un elemento di flessibilità che consente di adattare i tempi del procedimento alle specifiche esigenze del caso concreto, purché vi sia l’accordo di tutte le parti coinvolte.
La verifica della condizione di procedibilità
La verifica dell’avveramento della condizione di procedibilità rappresenta un momento cruciale del procedimento, caratterizzato da specifiche scadenze temporali. L’articolo 5, comma 4, stabilisce che “quando l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale, la condizione si considera avverata se il primo incontro dinanzi al mediatore si conclude senza l’accordo di conciliazione”.
La giurisprudenza ha chiarito che la verifica dell’effettivo esperimento della mediazione deve privilegiare la sostanza rispetto alla forma. Come evidenziato dalla sentenza del Tribunale di Catania n. 236/2025, “ciò che assume rilevanza decisiva è la conclusione della mediazione entro il termine massimo di tre mesi previsto dall’articolo 6 del decreto del Presidente della Repubblica numero 28 del 2010”.
Quando le parti si presentano all’udienza di verifica senza aver espletato e concluso la mediazione entro il termine previsto, la conseguenza è la dichiarazione di improcedibilità della domanda. La giurisprudenza ha sottolineato che “laddove le parti si presentino ancora dinanzi al giudice senza avere espletato e concluso la mediazione (anche con verbale negativo), la causa va dichiarata improcedibile”.
Le conseguenze del mancato rispetto dei termini
Il mancato rispetto dei termini nella mediazione può comportare conseguenze processuali di diversa gravità a seconda della fase procedimentale in cui si verifica l’inadempimento. La sanzione più grave è rappresentata dalla dichiarazione di improcedibilità della domanda giudiziale, che impedisce al processo di pervenire al suo esito fisiologico.
La giurisprudenza ha chiarito che la dichiarazione di improcedibilità non preclude la possibilità di riproporre l’azione una volta che sia stata effettivamente esperita la mediazione. Come osservato dalla sentenza del Tribunale di Catania n. 3050/2025, “l’improcedibilità conseguente al mancato rispetto del termine per la conclusione della mediazione non preclude alle parti la possibilità di agire nuovamente in giudizio una volta che abbiano finalmente operato la mediazione senza successo”.
Tuttavia, la dichiarazione di improcedibilità comporta comunque conseguenze negative in termini di costi processuali e di allungamento dei tempi per la definizione della controversia. L’articolo 12-bis prevede inoltre specifiche sanzioni pecuniarie per la mancata partecipazione al procedimento di mediazione, stabilendo che “quando la mediazione costituisce condizione di procedibilità, il giudice condanna la parte costituita che non ha partecipato al primo incontro senza giustificato motivo al versamento all’entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al doppio del contributo unificato dovuto per il giudizio”.
I rapporti con la sospensione feriale
Un aspetto peculiare della disciplina temporale della mediazione riguarda i rapporti con la sospensione feriale dei termini processuali. L’articolo 6, comma 3, stabilisce espressamente che “il termine di durata del procedimento di mediazione non è soggetto a sospensione feriale”.
Questa previsione introduce una deroga significativa al regime generale della sospensione feriale, rispondendo all’esigenza di garantire la continuità del procedimento di mediazione anche durante i periodi di sospensione dell’attività giudiziaria. La ratio della norma è quella di evitare che la parentesi extraprocessuale si protragga oltre i limiti temporali stabiliti dal legislatore, compromettendo l’efficacia deflattiva dell’istituto.
L’articolo 7 chiarisce inoltre che “il periodo di cui all’articolo 6 e il periodo del rinvio disposto dal giudice ai sensi dell’articolo 5, comma 2 e dell’articolo 5-quater, comma 1, non si computano ai fini di cui all’articolo 2 della legge 24 marzo 2001, n. 89”, escludendo così il computo di questi periodi ai fini della ragionevole durata del processo.
La mediazione demandata dal giudice
L’articolo 5-quater disciplina la mediazione demandata dal giudice, introducendo specifiche previsioni temporali. La norma stabilisce che “il giudice, anche in sede di giudizio di appello, fino al momento in cui fissa l’udienza di rimessione della causa in decisione, valutata la natura della causa, lo stato dell’istruzione, il comportamento delle parti e ogni altra circostanza, può disporre, con ordinanza motivata, l’esperimento di un procedimento di mediazione”.
Anche in questo caso, il giudice “con la stessa ordinanza fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all’articolo 6”, applicando la medesima disciplina temporale prevista per la mediazione obbligatoria. La mediazione demandata dal giudice è soggetta alle stesse regole temporali della mediazione obbligatoria, con la specificazione che “quando la mediazione non risulta esperita, il giudice dichiara l’improcedibilità della domanda giudiziale”.
La conclusione del procedimento e i termini per la riproposizione dell’azione
L’articolo 11 disciplina la conclusione del procedimento di mediazione, introducendo specifiche previsioni temporali per la fase conclusiva. Il comma 2 stabilisce che “le parti fanno pervenire al mediatore, per iscritto ed entro sette giorni dalla comunicazione o nel maggior termine indicato dal mediatore, l’accettazione o il rifiuto della proposta. In mancanza di risposta nel termine, la proposta si ha per rifiutata”.
Il comma 4-bis introduce una previsione di particolare rilevanza pratica, stabilendo che “quando la mediazione si conclude senza la conciliazione, la domanda giudiziale deve essere proposta entro il medesimo termine di decadenza di cui all’articolo 8, comma 2, decorrente dal deposito del verbale conclusivo della mediazione presso la segreteria dell’organismo”.
Questa previsione coordina i termini della mediazione con quelli per l’esercizio dell’azione giudiziale, evitando che il decorso del tempo durante il procedimento di mediazione possa comportare la decadenza dal diritto di agire in giudizio. Il termine decorre dal deposito del verbale conclusivo, garantendo così certezza temporale per l’esercizio dell’azione.
Le specificità della mediazione telematica
L’articolo 8-bis disciplina la mediazione in modalità telematica, introducendo specifiche previsioni per la gestione temporale degli atti del procedimento. La norma stabilisce che “quando la mediazione, con il consenso delle parti, si svolge in modalità telematica, gli atti del procedimento sono formati dal mediatore e sottoscritti in conformità al presente decreto nel rispetto delle disposizioni del codice dell’amministrazione digitale”.
La disciplina temporale della mediazione telematica segue le medesime regole della mediazione tradizionale, con l’adattamento delle modalità di formazione e sottoscrizione degli atti alle specificità della modalità telematica. Il comma 2 prevede che “a conclusione del procedimento il mediatore forma un documento informatico contenente il verbale e l’eventuale accordo per l’apposizione della firma da parte dei soggetti che vi sono tenuti. Il documento è immediatamente firmato e restituito al mediatore”.
Considerazioni conclusive e orientamenti giurisprudenziali consolidati
L’analisi della disciplina temporale della mediazione civile evidenzia la complessità di un sistema normativo che deve bilanciare diverse esigenze: la finalità deflattiva dell’istituto, la garanzia del diritto di difesa, la certezza dei rapporti giuridici e la ragionevole durata del processo. La giurisprudenza ha progressivamente chiarito i principi interpretativi fondamentali, privilegiando una lettura sostanziale della disciplina che valorizza l’effettivo esperimento del procedimento rispetto al mero rispetto formale dei termini.
Come evidenziato dalla Cassazione civile con ordinanza n. 22038/2023, “il procedimento di mediazione obbligatoria si pone per dir così ‘a monte’ dell’inizio del processo, tanto che, ove la stessa non sia esperita nei casi previsti obbligatoriamente dalla legge, il processo non può iniziare”. Questa impostazione sottolinea il carattere preliminare del procedimento di mediazione rispetto al processo civile e la necessità di rispettare rigorosamente i termini stabiliti dalla legge.
La gestione dei termini nella mediazione richiede quindi una particolare attenzione da parte dei professionisti, che devono considerare non solo i termini specifici del procedimento di mediazione, ma anche le loro interazioni con i termini processuali e sostanziali. La mancata osservanza delle scadenze temporali può comportare conseguenze processuali gravi, che vanno dalla dichiarazione di improcedibilità della domanda alle sanzioni pecuniarie previste per la mancata partecipazione al procedimento.
L’evoluzione normativa introdotta dalla riforma Cartabia ha cercato di rendere più flessibile la disciplina temporale, introducendo la possibilità di proroga del procedimento e chiarendo alcuni aspetti problematici della disciplina precedente. Tuttavia, rimane fondamentale per i professionisti una conoscenza approfondita della disciplina temporale e delle sue implicazioni pratiche, al fine di garantire il rispetto delle condizioni di procedibilità e l’efficace tutela dei diritti dei propri assistiti.
La giurisprudenza continua a fornire chiarimenti interpretativi su aspetti specifici della disciplina, contribuendo alla formazione di un orientamento consolidato che privilegia la sostanza dell’esperimento della mediazione rispetto alla rigida osservanza dei termini formali, pur nel rispetto dei limiti temporali massimi stabiliti dal legislatore per garantire la certezza dei rapporti processuali e la ragionevole durata del processo.

